giovedì 16 aprile ore 19.30
MODA ETICA
L'ultima frontiera della moda. Ad alta densità femminile,
ma con quanta consapevolezza e quale responsabilità? 
Ce ne parlano:
Michela Gattermayer,
direttrice di Velvet, mensile della moda di Repubblica.
Carla Lunghi,
docente di Sociologia dei Processi Culturali presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Gabriella Ghidoni,
fondatrice e anima del progetto Royah, Cultura e moda.

La massiccia diffusione di consumi e produzioni responsabili – dagli alimentari all’arredamento, dalla finanza al turismo – ha coinvolto anche il settore del tessile e dell’abbigliamento, dando vita alla cosiddetta MODA ETICA o CRITICA.

Una MODA critica che riconosce nella storia dei prodotti ma soprattutto nella salvaguardia dei  diritti delle sue lavoratrici e dei sui lavoratori standard qualitativi irrinunciabili. Un MODA altra che registra molto spesso DONNE tra le sue  promotrici, sostenitrici e lavoratrici.

Un MODA responsabile che in molti Paesi ha aperto nuove opportunità di indipendenza, auto-sostentamento, crescita di consapevolezza e confronto culturale per molte donne, rafforzando l’economia locale e favorendo la creazione di un’impresa al femminile.

Giovedì 16 aprile prendendo le mosse dal progetto Royal ethical design, nato in Afghanistan nel 2005 indagheremo questa nuova tendenza nel mondo del fashion e attraverso racconti e testimonianze cercheremo di capire la sua reale influenza in un processo di emancipazione femminile. Ospiti del Circolo Culturale e Politico delle Donne per raccontarci le storie e spiegarci il fenomeno e i suoi meccanismi saranno Gabriella Guidoni, fondatrice e anima del progetto Royah, la sociologa Carla Lunghi e la giornalista di moda Michela Gattermayer.

In un paese come l’Afghanistan dove si “vanta” una legge che autorizza gli  stupri domestici e che solo qualche giorno fa ha potuto ascoltare il presidente Karzai impegnarsi di fronte al mondo affinché questa legge venga cancellata e venga rispettato l'articolo della costituzione che sancisce la piena parità tra uomini e donne, un’esperienza come Royah dà autonomia a donne che, in una situazione sociale così fortemente repressiva, non hanno facile accesso al mercato del lavoro e dunque possibilità di mantenersi, di sostenere l’educazione dei propri figli e di emanciparsi.

Royah, nato a seguito di un progetto di formazione delle Nazioni Unite per migliorare la condizione femminile attraverso l’accesso al lavoro, dal 2005 ad oggi ha fatto tanta strada. Piccolo atelier con sede a Kabul e con 20 donne impiegate, Royha attualmente produce capi d'abbigliamento con tessuti e materiali del luogo reinventati e cuciti a mano, fondendo la tradizione tessile  afghana  con il design contemporaneo (in collaborazione con l’istituto di de-sign & fashion Naba Academy di  Milano).

Le donne che producono i capi imparano a disegnare, a tagliare e cucire, riappropriandosi di vecchi disegni e motivi della loro tradizione, persi a causa della guerra, e conquistando contemporaneamente strati d’indipendenza e la possibilità di formarsi, specializzarsi e vendere il loro artigianato.

Royah, in persiano significa “Visione”, e le donne che vi lavorano riprendono antichi motivi e modelli persiani e li reinterpretano in una chiave contemporanea, con tagli e stili europei. Nelle creazioni sartoriali elementi differenti si contaminano: i chapan, tessuti a mano da artigiane del posto, sete e cotoni locali, disegni tribali lakai come il sole e la luna, motivi geometrici di cui sono depositarie le donne pashtun.

Michela Gattermayer giornalista molto stimata è direttrice di “Velvet”, il mensile di Repubblica dedicato alla moda.

Gabriella Ghidoni psicologa sociale, fondatrice e anima del progetto Royah. Delle donne afghane con cui lavora dice: “Sono preoccupate per il futuro e la pace del loro paese. Hanno voglia di ricostruire, di offrire una vita ai loro figli, di studiare. Vorrebbero vedere il mondo e capire come sono le donne in tutto il resto del mondo, come è si svolge la vita fuori dal loro contesto. Mi fanno molte domande, sono curiose. Quando abbiamo iniziato producevano su richiesta, oggi arrivano con le loro idee i loro disegni, e che belli che sono. Si certo potrei anche dirti che a Kabul si usa il burqa, che le donne hanno sofferto pene incredibili negli anni passati. Ma preferisco dirti cha hanno tanta voglia di andare avanti”.

Carla Lunghi è ricercatrice di Sociologia dei Processi Culturali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Scienze Politiche. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in sociologia con una ricerca sulle donne imprenditrici straniere a Milano e si interessa principalmente di sociologia della cultura, di genere, di migrazioni e di sociologia dei consumi. Fra le sue pubblicazioni: La soggettività delle donne tra femminismo e sociologia, in 'Studi di Sociologia' (40, 2002); Donne e multiculturalismo: il valore della differenza, in 'Studi di Sociologia' (41, 2003); Culture creole. Imprenditrici straniere a Milano (2003); La moda della responsabilità (con Eugenia Montanini, 2007).